Lo scorso 3 dicembre è stata pubblicata la sentenza (n. 192 del 2024) con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi promossi dalle Regioni Campania, Puglia, Toscana e Sardegna avverso la legge n.86/2024 di attuazione dell’autonomia differenziata dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune delle sue disposizioni e precisando la corretta lettura di altre delle sue previsioni alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata (su questa decisione v. la Newsletter del 29 novembre 2024). La legge c.d. Calderoli, dal nome del ministro proponente, è oggetto anche di plurime iniziative referendarie volte alla sua abrogazione totale o parziale. Conseguentemente, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione (UCR), in sede di verifica della legittimità delle richieste referendarie già depositate, è stato chiamato a valutare la vigenza formale e sostanziale della legge sottoposta ai quesiti abrogativi (ex art. 32 e 39 della legge 352/1970) così come risultante a seguito della richiamata decisione della Corte costituzionale.
A questo proposito, con ordinanza del 12 dicembre 2024 l’UCR ha deciso che, salvo il successivo giudizio di ammissibilità spettante al Giudice delle leggi, che sia procedibile l’iniziativa referendaria per l’abrogazione totale della legge ma non quella per la sua abrogazione parziale. Secondo lo speciale Ufficio della Cassazione, infatti, “il pur massiccio effetto demolitorio” apportato dalla sentenza costituzionale lascia sopravvivere un nucleo normativo composto da disposizioni o non impugnate o ritenute costituzionalmente compatibili o convalidate nella interpretazione che ne è stata data dalla Corte costituzionale o che, per le parti rese lacunose dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, potrà essere integrato dal Parlamento nell’esercizio della sua discrezionalità, in modo da assicurare piena funzionalità alla legge. Per tali motivi, secondo l’UCR, il cosiddetto “principio abrogativo totale” non può ritenersi soddisfatto da una declaratoria di illegittimità costituzionale di alcune parti della legge oggetto dell’iniziativa referendaria.
L’UCR ha ritenuto invece improcedibile l’iniziativa abrogativa parziale, in quanto l’obiettivo referendario, considerato nella sua testuale oggettività, “è volto a impedire che possano esserci trasferimenti immediati alle Regioni di materie o ambiti di materie che, per quanto considerate dal legislatore ‘no-Lep’ (art. 3) presentino in realtà anch’esse diretta incidenza su diritti civili e sociali”. A seguito dell’intervenuta decisione della Corte costituzionale non vi è più dubbio però che le disposizioni legislative oggetto del quesito abrogativo parziale debbano ormai essere interpretate, conformemente a Costituzione, nel senso di non rendere possibile il conferimento di funzioni differenziate senza previa determinazione dei LEP relativi alle funzioni trasferite e del loro costo standard, se queste attengono a diritti civili o sociali. Ci si trova, in definitiva, di fronte a norme “la cui portata effettiva è già oggi, per effetto dell’intervento della Corte costituzionale, quella stessa che il buon esito del referendum apporterebbe”.
A parere di chi scrive, la decisione dell’UCR è sostanzialmente corretta anche se appaiono poco chiari alcuni passaggi argomentativi della sua motivazione che, se non ben intesi, rischiano di risultare fuorvianti. Ciò concerne, in particolare, il punto in cui si richiama la sentenza n. 68 del 1978 con la quale il giudice delle leggi dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 39 della legge n. 352 del 1970, sulla disciplina dei referendum, “limitatamente alla parte in cui non prevede che se l’abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative”.
Come evidenziato, infatti, dallo stesso UCR, questo intervento del giudice delle leggi era destinato ad “evitare un utilizzo distorto ed elusivo”, da parte del Legislatore, della disposizione secondo cui “se prima della data di svolgimento del referendum, la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’UCR dichiara che le operazioni non hanno più corso”. Sarebbe stato opportuno, a questo riguardo, chiarire che di fronte all’esercizio della giurisdizione costituzionale, da un lato, appare assai meno pronunciato il rischio di un utilizzo distorto ed elusivo del potere (giurisdizionale e non politico) al fine di sottrarre una questione controversa al principale istituto di democrazia diretta e, dall’altro, che la declaratoria di illegittimità costituzionale si presenta, in genere, dissociata dall’introduzione di un’“altra disciplina” della materia.
Pertanto, se appare certamente corretta l’interpretazione analogica del richiamato art. 39 nel senso di assimilare al caso dell’abrogazione gli effetti pratici prodotti dalla declaratoria di illegittimità della legge (ai sensi dell’art. 136 Cost.), sarebbe stato però da rimarcarsi che la Corte costituzionale non possa accompagnare la declaratoria di illegittimità di una legge o di un atto con forza di legge – che nello stesso tempo è oggetto di richiesta referendaria – con un’“altra disciplina” della stessa materia, dato che ciò spetta al Parlamento in coerenza con i principi costituzionali messi in evidenza dal giudice delle leggi. E ciò fatto salvo il più limitato impiego delle formule decisorie di accoglimento c.d. additive o sostitutive, che non hanno la finalità di introdurre un’“altra disciplina” discrezionalmente orientata ad altri principi e obiettivi, ma la ben diversa finalità di riportare la legge a Costituzione. Nella sentenza n. 192 del 2024, in particolare, è stata utilizzata la tecnica additiva una sola volta (art. 2.1 primo periodo) ed è stata utilizzata quella sostitutiva, in cinque altri casi (artt. 1.2, 2.1 terzo periodo, 3.3, 4.1, 9.4) su complessive diciotto disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime. Si tratta di interventi manipolativi del testo legislativo certamente importanti e significativi ma che, per la loro parzialità e puntualità, non sono stati ritenuti sufficienti a modificare i principi ispiratori o i contenuti essenziali dell’intera disciplina oggetto della richiesta di referendum totale. La valutazione è stata diversa, invece, per le modifiche specificamente intervenute sulle singole disposizioni oggetto della richiesta di referendum parziale. La modifica dei principi e dei contenuti legislativi, in tal caso, è stata tale da far ritenere senz’altro sufficiente la cessazione di efficacia dell’originario testo delle due disposizioni oggetto di referendum (art. 1, comma 2 e art. 4, comma 1) per una conseguente decisione di improcedibilità del quesito abrogativo parziale.