ISTITUTO DI STUDI SUI SISTEMI REGIONALI FEDERALI E SULLE AUTONOMIE
  
”Massimo Severo Giannini”

Editoriale Dott. Antonio Ferrara – Newsletter CNR ISSIRFA novembre 2024

Nell’udienza pubblica del 12 novembre la Corte costituzionale si è riunita per esaminare i ricorsi della Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania avverso la legge di attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni ordinarie ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione (l. 26 giugno 2024, n. 86), nonché le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto (intervenute ad opponendum). Con il comunicato stampa, di due giorni successivo, il giudice delle leggi ha fatto sapere di aver ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell’intera legge ma di aver considerato illegittime alcune sue specifiche disposizioni e di aver dovuto dare un’interpretazione costituzionalmente orientata di altre disposizioni che si prestano (o si sarebbero potute prestare) anche a letture improprie. In mancanza del deposito della sentenza motivata non appare utile entrare qui in maggior dettaglio, anche perché, soprattutto con riferimento alle indicazioni relative all’interpretazione costituzionalmente orientata, è necessario conoscere con maggiore precisazione le formule in concreto utilizzate dalla Corte. A seguito della pubblicazione della sentenza, pertanto, il Parlamento dovrà intervenire a colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni di costituzionalità se vorrà restituire piena funzionalità alla legge.
Questa decisione della Corte costituzionale si intreccia però inevitabilmente con i giudizi di legittimità e di ammissibilità delle richieste di referendum popolari abrogativi della medesima legge (in senso totale o solo parziale). Sul primo giudizio si pronuncerà l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione (UCR), entro il 15 dicembre, e sul secondo la Corte costituzionale, entro il 10 febbraio. Qualora, antecedentemente alla prima data, sarà già stata depositata e pubblicata la sentenza della Corte costituzionale (com’è assai probabile), l’UCR prenderà atto che i referendum non potranno più avere ad oggetto disposizioni di legge che, successivamente alla richiesta di abrogazione popolare, siano state dichiarate costituzionalmente illegittime. Le consultazioni referendarie pertanto, in tal caso, potranno svolgersi solo in riferimento alle disposizioni residue, in vigore e ancora applicabili, salvo il successivo giudizio sull’ammissibilità dei quesiti, così come riduttivamente riformulati, spettante alla Corte costituzionale. C’è però un altro compito dell’UCR connesso temporalmente con il giudizio di legittimità, che appare di particolare importanza in questo caso. Tale Ufficio infatti, “sentiti i promotori”, dovrà stabilire la denominazione delle richieste di referendum da riprodurre sulle schede di votazione. L’individuazione sintetica dell’oggetto della questione da sottoporre alla consultazione popolare appare un passaggio necessario per garantire l’intelligibilità e la piena consapevolezza del quesito da parte del corpo elettorale ma, inevitabilmente, utile anche per far emergere, già in questa fase, gli effetti dell’abrogazione – da non confondersi con l’intento politico dei proponenti – che andranno poi valutati dalla Corte costituzionale nel successivo giudizio sull’ammissibilità delle richieste referendarie. È da ritenersi escluso, infatti, che un referendum abrogativo di una legge di attuazione di una disposizione costituzionale – che non fa alcun espresso riferimento alla necessità di una simile disciplina legislativa ordinaria – possa determinare l’effetto normativo di impedire qualunque applicazione della medesima previsione costituzionale. Sarà dunque onere e interesse dei proponenti rendere esplicite e chiarire, in primo luogo innanzi all’UCR che deve identificare l’oggetto del referendum, le finalità delle due diverse ipotesi di abrogazione totale o parziale della legge. Spetterà poi alla Corte costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilità, valutare se appaia sufficientemente chiaro, per l’elettore, l’intento abrogativo perseguito o se lo stesso possa essere indotto nell’erroneo convincimento che, grazie all’approvazione di un referendum abrogativo di una legge ordinaria attuativa di una disposizione costituzionale, si possa giuridicamente impedire qualunque applicazione della Costituzione, nonostante che la legge non rechi una disciplina costituzionalmente necessaria.
In mancanza di una motivazione delle iniziative referendarie (non richiesta dalla legge e dunque non disponibile), proviamo a ragionare – al di là delle intenzioni politiche dei proponenti – sulle possibili finalità, giuridicamente rilevanti e oggettivamente ricavabili, delle due diverse opzioni abrogative. Quanto alla richiesta di abrogazione totale, essa sembra poter legittimamente presupporre esclusivamente la volontà di procedere all’attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione senza intermediazione legislativa ordinaria. Con riferimento alla medesima richiesta, infatti, è difficile ritenere che essa voglia abrogare questa legge ordinaria di disciplina al fine di ottenerne un’altra che, secondo le attese dei proponenti, dia una diversa e migliore attuazione alla c.d. autonomia differenziata; se questa fosse stata la volontà, infatti, ciò sarebbe risultato certamente chiaro solo qualora si fosse eccettuato dalla richiesta abrogativa quantomeno il primo comma dell’art. 1 della legge 86/2024 che, manifestando la volontà di dare attuazione all’art. 116.3 Cost. e individuando le finalità della conseguente disciplina, dichiara di dover rispettare o promuovere più o meno i medesimi principi fondamentali della forma di Stato italiana cui fa riferimento ora – in attesa di leggere le motivazioni della sentenza – il richiamato comunicato stampa della Corte costituzionale: unità della Repubblica, solidarietà tra regioni, eguaglianza e garanzia dei diritti, sussidiarietà nella distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni, efficienza degli apparati pubblici, responsabilità politica. Quanto invece alla richiesta di abrogazione parziale, essa al contrario sembra rivelare la volontà di ritenere utile e opportuna una legge ordinaria di disciplina attuativa, purché nel testo da essa riduttivamente manipolato. Tale evidenza rafforza l’impressione, dunque, che la richiesta di abrogazione totale della legge non persegua il medesimo scopo dell’abrogazione parziale volta ad ottenere una diversa disciplina ordinaria di attuazione. Perseguendo, pertanto, le due alternative referendarie finalità molto diverse esse potrebbero entrare in contrasto tra loro. Tuttavia, qualora entrambi i referendum dovessero essere ritenuti ammissibili e successivamente approvati dal voto popolare, non vi è dubbio che l’abrogazione totale prevarrebbe su quella solo parziale, con la conseguenza che – se abbiamo ben inteso (ma meglio ci chiarirà la Corte costituzionale nel giudizio di ammissibilità) – una successiva legge ordinaria di disciplina intermedia potrebbe essere eventualmente approvata soltanto rispettando il vincolo derivante dall’abrogazione referendaria, ovvero – secondo la pretoria giurisprudenza costituzionale – solo a partire dal “mutamento del quadro politico” (C. cost. 199/2012), da potersi intendere, più concretamente, successivamente al termine della legislatura in corso.