La tutela della biodiversità ha assunto un ruolo centrale a seguito della recente revisione costituzionale che ha riguardato, per la prima volta nella storia repubblicana, i principi fondametali.
La legge costituzionale n. 1 del 2022 ha, infatti, modificato l’articolo 9 e 41 della Costituzione introducendovi il principio della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni e quello della tutela degli animali, nelle forme e nei modi definiti con legge statale. Inoltre, la medesima legge di revisione è intervenuta anche sull’articolo 41 della Costituzione, in materia di esercizio dell’iniziativa economica. Precisamente, la revisione ha interessato il secondo comma dell’articolo 41 Cost., aggiungendo all’originale previsione – in base alla quale l’iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana – l’ulteriore vincolo che essa non possa svolgersi in modo tale da recare danno alla salute e all’ambiente.
La tutela della biodiversità è, dunque, entrata a pieno titolo nell’ambito dell’azione dell’intervento pubblico e coinvolge tutte le pubbliche istituzioni che compongono la “Repubblica”. Si tratta, in particolare, di una forma di tutela nuova, in quanto diacronica, perché riferita anche alle «future generazioni».
Alla biodiversità, oltre al rango di bene giuridico, va anche riconosciuto il valore economico, in sé, come afferma il noto economista Partha Dasgupta, autore dell’altrettanto noto The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review (2021). Essa costituisce una risorsa da preservare così come il capitale prodotto (strade, edifici e fabbriche) e il capitale umano (salute, conoscenze e abilità), in quanto rende possibile la produttività, la resilienza e l’adattabilità degli ecosistemi.
La necessità di preservare mediante strumenti giuridici la diversità e variabilità tra gli organismi viventi è frutto di un lungo percorso che ha preso avvio dal primo strumento normativo globale di tutela della biodiversità che risale alla Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite, adottata a Rio del Janeiro nel 1992.
Da quella data la biodiversità ha compiuto un lungo percorso, dal piano degli strumenti internazionali di soft law è giunta fino ad integrare e costituire, in via autonoma, l’oggetto di tutela degli strumenti normativi emanati dall’Unione Europea ed incidenti negli ordinamenti degli Stati membri.
Questo percorso è stato reso possibile, in primo luogo, dalla sottoscrizione nel settembre del 2015 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che rappresenta un programma d’azione inclusivo per le persone, il pianeta e la prosperità. La visione scaturita dall’Agenda 2030 è stata fatta propria dall’Unione Europea che, nel dicembre 2019, ha presentato ufficialmente un documento programmatico, corredato da un piano di investimenti, finalizzato a portare la sostenibilità e il benessere dei cittadini al centro della politica economica. L’anno successivo, anche a seguito della risposta alla crisi pandemica e all’avvio del così detto Green Deal Europeo, la Commissione europea ha poi presentato la “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030”.
A livello nazionale, il percorso tracciato dall’Unione Europea ha trovato poi ingresso nella “Strategia nazionale per la biodiversità del 2020” che prevede l’identificazione di una serie di obiettivi specifici declinati su alcuni ambiti tematici di intervento (aree protette, agricoltura, foreste, acque interne, mare) a cui corrispondono una serie di indicatori sviluppati appositamente per verificarne il raggiungimento. Sempre a livello nazionale, il MUR ha costituito, attraverso i fondi dell’Unione Europea – NextGenerationEU, il National Biodiversity Future Center (NBFC) di cui il CNR è partner e fondatore. Si tratta del primo Centro Nazionale di ricerca e innovazione dedicato alla biodiversità, in cui sono coinvolti oltre 2000 ricercatrici e ricercatori provenienti da enti di ricerca, università ed imprese e nel quale anche l’ISSIRFA è impegnato. La finalità pratica è individuare strategie idonee per monitorare, preservare e valorizzare la biodiversità di specie e di habitat diffusi nei diversi territori italiani.
Anche alcune regioni hanno avviato iniziative per supportare i temi legati alla salvaguardia della biodiversità come la Strategia per la biodiversità di Regione Lombardia approvata con la Delibera della Giunta Regionale n.7551 del 15 dicembre 2022, che risponde all’obiettivo di arrestare e invertire la progressiva perdita di biodiversità che si manifesta a livello globale e anche nel territorio regionale.
Il passaggio a forme di tutela più cogenti ed efficaci è però avvenuto solo di recente, mediante l’approvazione di Direttive emanate dall’Unione Europea che prevedono l’introduzione di obblighi di rendicontazione e vigilanza della sostenibilità dell’attività d’impresa, unitamente all’istituzione di autorità amministrative indipendenti a livello nazionale deputate al controllo.
Trattasi di due Direttive che vanno nella direzione di richiedere, per la prima volta, che una parte di quello sforzo di tutela sia anche appannaggio delle imprese.
La prima è la Direttiva 2022/2464/EU, nota come Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), recepita dal governo italiano con il Decreto legislativo del 6 settembre 2024, n. 125. La seconda, invece, è la Direttiva (UE) 2024/1760 nota come Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D) in vigore dal 25 luglio 2024 e che dovrà essere recepita entro il 25 luglio 2026.
Entrambe richiedono direttamente ai soggetti economici di essere parte “attiva” nella protezione degli ecosistemi. La filosofia di fondo di entrambe le direttive è la necessità per le imprese di controllare i rischi che derivano dalle loro attività, sia per effetto delle attività dirette, sia di quelle indirette, cioè imprese legate da rapporti commerciali a catena. Le imprese, infatti, e soprattutto le grandi imprese, hanno una attività distribuita lungo una catena di attività che coinvolge numerosi altri soggetti, talvolta residenti anche all’estero.
Il legislatore italiano, salvo modifiche che potrebbero essere apportate nei prossimi mesi, è quindi chiamato, entro luglio 2026, ad introdurre nell’ordinamento interno una disciplina che ponga in capo ai soggetti economici obblighi di vigilanza sugli ecosistemi e la biodiversità per garantire la sostenibilità di filiera, intesa come l’insieme di pratiche finalizzate a promuovere la sostenibilità ambientale, sociale ed economica attraverso il coinvolgimento di fornitori e clienti lungo tutti i livelli della catena del valore.
Al fine di rendere effettivo il monitoraggio della sostenibilità in sede di recepimento della Direttiva, i singoli stati membri dovranno anche prevedere l’istituzione di una autorità nazionale di controllo, di natura pubblica e indipendente, dotata di poteri sanzionatori nei confronti delle imprese. La Direttiva prevede che nel caso in cui alcuni Stati membri abbiano già autorità deputate a svolgere controlli ambientali, potranno essere valutate soluzioni in cui siano integrate o ampliate le competenze attribuite alle autorità già esistenti.
Nel caso dell’Italia si presenta una situazione piuttosto singolare e dovrà essere attentamente valutata dal legislatore. Il nostro ordinamento, infatti, conosce già il sistema delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) istituito dalla legge 132 del 2016. In sede di recepimento si dovrà, pertanto, operare un necessario coordinamento tre le funzioni attribuite alle ARPA a livello regionale, con la nuova autorità di controllo che dovrà operare su scala nazionale ed avente il compito di vigilare e sanzionare le attività economiche che non hanno impedito la generazione di impatti negativi sull’ambiente, gli ecosistemi e la biodiversità.
In conclusione, le recenti riforme costituzionali e le normative di fonte europea impongono un nuovo approccio alla questione ambientale, non più basato su una visione antropocentrica ma il più possibile olistico, che tenga conto della necessità di salvaguardare gli ecosistemi in cui l’uomo vive, opera e, soprattutto, che sfrutta per il proprio sostentamento. Un approccio che deve essere fondato su una tutela diacronica, tenendo conto del fatto, per dirla con le parole di Robert Baden-Powell, che “Noi non abbiamo ereditato il mondo dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli e a loro dobbiamo restituirlo migliore di come lo abbiamo trovato”.