ISTITUTO DI STUDI SUI SISTEMI REGIONALI FEDERALI E SULLE AUTONOMIE
  
”Massimo Severo Giannini”

Editoriale Prof. Giulio Salerno – Newsletter CNR ISSIRFA febbraio 2024

Sempre più “autonomie contro autonomie”? Di questo scenario che si sta profilando all’orizzonte occorre occuparsi con estrema urgenza. E non si tratta soltanto delle irrisolte questioni del cosiddetto federalismo regionale, così come della richiesta di rinnovato slancio e nuova centralità delle Province, mediante il ritorno alla legittimazione diretta delle istituzioni rappresentative, o, ancora, delle annose problematiche che attanagliano i Comuni, impietosamente stretti nella forbice tra l’assegnazione di plurime competenze di forte impatto sociale e la cronica mancanza – o addirittura i provvedimenti di contrazione – delle risorse e degli apparati necessari per provvedervi adeguatamente.
Tutte questioni che pongono i singoli livelli delle autonomie territoriali in tendenziale e reciproca contrapposizione tra loro stessi, non solo nella ricerca degli spazi di azione che ciascuno ritiene “vitali” per assicurarsi le rispettive opportunità di futuro, ma anche nei rapporti di interlocuzione e di confronto con le istituzioni statali e con le forze politiche, economiche e sociali. E se si considera il mondo sempre più globalizzato dai processi di digitalizzazione, è evidente la prospettiva della crescente sovrapposizione delle sfere di interessi potenzialmente riferibili ad ogni livello istituzionale del decentramento territoriale. Sicché ne discende la debolezza, se non la crisi, delle tradizionali categorie che sono utilizzate per distinguere i rispettivi campi di intervento, e quindi l’accresciuta tensione dei conflitti interistituzionali. Conflitti che, nei tempi più recenti, sono portati all’attenzione del sindacato giurisdizionale anche mediante modalità alquanto originali.
In particolare, non va trascurata la posizione di quelle Regioni ad autonomia speciale che potrebbero decidere di disinnescare la “mina” dell’autonomia differenziata, scegliendo una strada diversa da quella sinora prospettata, e cioè rifiutando la possibile adesione al processo ipotizzato dal disegno di legge in corso di esame parlamentare, e ponendosi in una logica di mera contrapposizione alla stessa attuazione dell’autonomia differenziata proprio in nome e a tutela dell’unica, vera e, per così dire, “originale” specialità, quelle delle Regioni e Province autonome indicate nell’art. 116, primo e secondo comma. Una logica certo politicamente rispettabile, ma che, a nostro avviso, sarebbe intrinsecamente debole e soprattutto foriera di esiti involutivi per l’intero sistema repubblicano delle autonomie.
Innanzitutto, se si intende muoversi in senso aprioristicamente contrario all’autonomia differenziata soltanto per difendere e mantenere fermo lo status quo dell’asimmetria regionale riservata alle specialità, il vero rischio è quello di restare ancorati a modelli che, come noto, risultano fondati su formule e procedure che, se si intende restare al passo con il rapidissimo mutare dei tempi, richiedono sempre più costanti e robusti interventi innovativi.
Insomma, anche le autonomie speciali non possono sottrarsi ad essere soggetti parimenti attivi e partecipi in quel complessivo processo di aggiornamento e di ripensamento del regionalismo italiano che, secondo l’opinione assolutamente condivisa, è necessario e indispensabile. E che richiede, quindi, il contributo fattivo di tutte le componenti delle autonomie territoriali. Per di più, chi si limitasse ad auto-escludersi e a porsi in posizione “eguale e contraria” finirebbe essenzialmente per aprire il fianco alle facili accuse di muoversi soltanto a tutela di privilegi ormai non più facilmente giustificabili. Con il rischio che le critiche si rivolgerebbero, alla fine, contro l’intero impianto del decentramento territoriale, così travolgendo gli stessi principi che ne sono alla base in quanto baluardi di libertà e garanzie essenziali della divisione dei poteri nello Stato democratico contemporaneo.