ISTITUTO DI STUDI SUI SISTEMI REGIONALI FEDERALI E SULLE AUTONOMIE
  
”Massimo Severo Giannini”

Editoriale Prof. Giulio Salerno – Newsletter CNR ISSIRFA maggio 2023

Il dibattito sul regionalismo differenziato ha superato i nostri confini, assumendo rilievo europeo. Le recentissime raccomandazioni presenti nel “Commission Staff Working Document” dello scorso 24 maggio (e che a loro volta sono la base di partenza per la successiva raccomandazione del Consiglio europeo nei confronti dell’Italia) si occupano anche delle ricadute che, in termini di finanza pubblica, potrebbero scaturire dall’attuazione del regionalismo differenziato.
Le valutazioni predittive dedicate a questo aspetto sono sintetizzate nel titolo del paragrafo dedicato alla proposta di legge del Governo in tema di attuazione all’autonomia differenziata: è una prospettiva che “rischia di incrementare la complessità del sistema fiscale”. A questa introduzione, in realtà così auto-evidente da risultare quasi banale, si aggiungono alcune considerazioni sulla procedura e sul merito dell’iniziativa governativa.
In particolare, là dove si sottolinea che la preventiva definizione dei LEP è un “esercizio cruciale e complesso, che richiede analisi dettagliata e la consultazione di tutti gli stakeholders”, si conferma l’impostazione voluta dal Governo che ha previsto una procedura di definizione dei LEP (e dei costi e fabbisogni standard) che è improntata non soltanto alla consultazione, ma anche alla condivisione tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali.
Inoltre, pure a fronte della clausola di neutralità finanziaria che è prevista nel ddl di attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., si sottolinea che senza la previsione di risorse aggiuntive sarebbe “difficile assicurare lo stesso livello di servizi nelle Regioni con bassa spesa storica, anche a causa della mancanza di un meccanismo di perequazione”. Affermazione, invero, alquanto discutibile, dato che il finanziamento dei LEP – per il tramite dei connessi costi e fabbisogni standard – è proprio rivolto ad assicurare in via perequativa la garanzia del pari livello dei servizi pubblici sull’intero territorio nazionale, a prescindere dalle diverse condizioni oggettive e dai precedenti livelli della spesa pubblica territorializzata.
L’ultima considerazione, poi, riguarda il rischio di “geopardizzare la capacità del governo di controllare la spesa pubblica”, da cui potrebbe conseguire “impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche dell’Italia e sulle disparità regionali”. Ma, dato quanto previsto dall’art. 116, comma 3, cost. circa il necessario rispetto dei principi stabiliti nell’art. 119 Cost., è ben chiaro che l’autonomia differenziata nulla può togliere alle possibilità dello Stato di agire a vigilanza e a tutela dei vincoli di spesa pubblica, ivi compresi quelli di provenienza europea, senza discriminazione alcuna tra le singole Regioni.
Insomma, il vero rischio è che queste scarne considerazioni possano essere strumentalizzate per rinfocolare le polemiche interne, senza arrecare particolare aiuto alla soluzione dei problemi che richiedono, invece, attento approfondimento e ponderata analisi delle tesi a confronto. E del resto neppure gli stessi responsabili del documento preparatorio hanno dato particolare peso alle considerazioni relative a questo specifico profilo, dato che nelle indicazioni conclusive non si fa cenno alcuno all’autonomia differenziata.