ISTITUTO DI STUDI SUI SISTEMI REGIONALI FEDERALI E SULLE AUTONOMIE
  
”Massimo Severo Giannini”

Editoriale Prof. Giulio Salerno – Newsletter CNR ISSIRFA maggio 2024

Non tutti sanno che da molti anni in Italia le autonomie territoriali “concorrono alla finanza pubblica” mediante una specifica riduzione delle risorse finanziarie loro spettanti. Le ragioni di questo sostegno finanziario sono riposte nell’esigenza di contribuire al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica che, connessi essenzialmente all’elevato ammontare del debito pubblico pure dopo molti anni di avanzo primario al netto degli interessi, da tempo rappresentano uno dei principali scogli cui si infrange qualunque reale tentativo di correzione delle politiche pubbliche nazionali.
Lo strumento costituzionale che ha consentito siffatto “concorso territoriale” al complessivo sforzo di riaggiustamento delle finanze pubbliche è la competenza statale sul coordinamento della finanza pubblica in connessione con gli obblighi di equilibrio di bilancio che sono stati via via assunti nei confronti dell’Unione europea, poi consacrati nella riforma costituzionale del 2012, e recentemente ridefiniti con il nuovo patto di stabilità della Unione. Il meccanismo di questo “concorso” finanziario – dalle istituzioni territoriali a quelle centrali – è assai tortuoso, e ha trovato attuazione in una molteplicità di forme e modalità, a partire, in particolare, dal cosiddetto patto di stabilità interno che veniva annualmente declinato, e dunque ridefinito, in ciascuna manovra di stabilità e poi di bilancio. La Corte costituzionale, pur con alcuni caveat, ha accolto la prassi legislativa che ha circoscritto in vario modo le autonomie territoriali dapprima soprattutto sul versante della spesa, e che poi si è spinta sino a definire l’ammontare di flussi finanziari che procedono sostanzialmente in senso ascensionale, e cioè dalle autonomie verso il lo Stato.
Si è così determinato un vero e proprio paradosso: mentre la Costituzione, all’art. 119, garantisce – almeno in linea di principio – che gli enti territoriali dispongano di risorse sufficienti per “finanziare integralmente l’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite”, nella prassi repubblicana dall’ammontare complessivo dei finanziamenti da assegnare alle autonomie in base alle leggi vigenti sono sottratte quelle risorse che lo Stato considera, di anno in anno, necessarie per contribuire allo sforzo finanziario pubblico del Paese. Allora, delle due l’una: o l’ammontare finanziario predeterminato dalle leggi vigenti deve considerarsi strutturalmente superiore a quanto necessario alle autonomie (eventualità che appare evidentemente irrealistica, considerate le note ristrettezze che condizionano anche le attività più essenziali degli enti territoriali), oppure quanto risulta dopo la decurtazione imposta dallo Stato deve considerarsi insufficiente per l’esercizio delle funzioni attribuite agli enti territoriali, con inevitabili conseguenze sulla contrazione delle prestazioni pubbliche e sull’effettiva garanzia dei diritti a queste ultime connesse.
Per di più, tutto ciò avviene senza effettiva condivisione tra Stato e autonomie, né sull’ammontare, né sulle modalità di ripartizione del contributo finanziario “prelevato” dallo Stato tra i diversi livelli di governo e all’interno del medesimo livello di governo. Così, dopo una sosta dovuta anche all’emergenza pandemica, si è tornati ad un forte contenzioso che si svolge, in occasione della preparazione della legge di bilancio, tra lo Stato e le autonomie circa l’ammontare del contributo e la ripartizione tra i diversi livelli di governo. La polemica politica si somma a quella istituzionale, così dimostrandosi, tra l’altro, la mancanza di sedi davvero idonee per il confronto tra i diversi livelli di governo.
Ma la questione diventa ancor più delicata quando si tratta, come è stato stabilito in un recente provvedimento legislativo (la legge di bilancio del 2024 nell’art. 1, comma 533), di ripartire il concorso finanziario tra gli enti territoriali “tenendo conto” delle risorse già assegnate con il PNRR. Cosa significa “tenere conto”? Che chi più ha speso – dimostrandosi quindi più efficiente – nel perseguimento degli obiettivi di investimento straordinario previsti dal PNRR come condizionalità rilevanti per l’intero Paese, dovrebbe subire una maggiore contrazione delle risorse disponibili per l’esercizio delle funzioni che deve svolgere in via ordinaria? E’ evidente che questa interpretazione, che sembrava accolta in una prima versione del provvedimento attuativo predisposto dall’amministrazione statale, appare inaccettabile. Soprattutto, questo dimostra che è l’intero meccanismo del “concorso territoriale allo sforzo finanziario della Repubblica” che deve essere ridefinito con la determinazione di criteri ragionevoli – anche nelle modalità applicative e con una metodologia finalmente stabilizzata e davvero condivisa.