Sarà davvero interessante la terza edizione del Festival delle Regioni che si terrà a Bari dal 19 al 22 ottobre con questo titolo: “La Regione del Futuro tra Digitale e Green: quali competenze?”. La domanda così icasticamente posta, infatti, non si limita a porre questioni, per così dire, alla moda – la digitalizzazione e l’ambiente – ma coglie con precisione il vero problema che attanaglia il sistema regionale. Le Regioni, infatti, se intendono mantenere una collocazione politico-istituzionale realmente significativa, non possono restare immobili, né collocarsi in una prospettiva resistenziale o di mera conservazione dell’esistente, né, tanto peggio, schierarsi soltanto a difesa di sé stesse, come se fossero vittime sacrificali di processi trasformativi irresistibilmente imposti da forze superiori.
Tutt’al contrario, le Regioni devono compiere un’operazione di rigenerazione, a partire dalla piena consapevolezza delle straordinarie trasformazioni culturali, sociali ed economiche che stanno riorientando i fattori costitutivi della nostra convivenza. Una rigenerazione che possa indurre le Regioni non solo a ripensare in profondità meccanismi organizzativi e funzionali in buona parte logorati da normative e prassi che vanno senz’altro riviste e aggiornate in senso coerente con l’evoluzione del contesto nazionale, europeo e internazionale. Soprattutto, occorre cogliere nei fattori che producono forti crisi e, nello stesso tempo, profonde novità tutte quelle possibili opportunità che consentano di (ri)trovare il senso proprio delle vere ragioni del regionalismo: l’autonomia decisionale, la libertà politica e le corrispondenti responsabilità delle singole istituzioni territoriali poste a confronto con le esigenze di unitarietà del Paese.
E allora ben si comprende perché i temi del digitale e della transizione verde devono essere posti al centro dell’elaborazione di nuove politiche pubbliche regionali che rispondano alle sfide fondamentali del futuro, immediato e prossimo. E ciò appare ancor più rilevante quando le innovazioni tecnologiche e l’approccio ambientale si incrociano con le attività culturali, con l’integrazione sociale e con l’economia dei territori, ovvero con i tre ambiti nei quali le Regioni – rispetto alle altre componenti della Repubblica – possono esprimere più compiutamente e direttamente un rapporto proattivo, fattivo e proficuo con le persone e le collettività.
Ecco perché, come ci si domanderà nel Festival di Bari, occorre concentrarsi su una visione innovativa delle competenze regionali, senza impiegare – o addirittura sprecare – tempo e risorse nella puntigliosa difesa di un quadro costituzionale delle competenze che, rinnovato ormai quasi un quarto di secolo fa, appare in non pochi aspetti superato. Tanto più alla luce delle compressioni e dei ritagli che sono avvenuti sia per l’inadeguatezza di talune modifiche inserite nel 2001, che a causa di un diffuso, e mai rimosso, atteggiamento centralistico. Ben diversamente, occorre avere la capacità di rilanciare il confronto con lo Stato e con il sistema tutto delle autonomie locali, per ridare alle competenze regionali un ruolo ben più mirato e incisivo.
In questo senso, allora, il Festival di Bari potrebbe essere l’occasione per formulare anche proposte di riforma, ad esempio promuovendo un tavolo in cui condividere adeguate e ponderate correzioni dell’attuale assetto delle competenze dello Stato e delle Regioni. Ma senza indugiare in un inutile giuoco a somma zero, nell’astratta ricerca della – presuntivamente perfetta – suddivisione verticale delle materie di rispettivo interesse. Occorre, invece, favorire la costruzione di un sistema efficacemente coordinato e collaborativo delle funzioni pubbliche esercitate dai molteplici livelli di governo, un sistema che potremmo definire “nazionale e repubblicano”, per consentire al nostro Paese di affrontare le perduranti questioni derivanti dalle disparità e dai conflitti interni, e di presentarsi adeguatamente nel sempre più complesso scenario europeo e internazionale.