ISTITUTO DI STUDI SUI SISTEMI REGIONALI FEDERALI E SULLE AUTONOMIE
  
”Massimo Severo Giannini”

Il contributo delle Regioni all’attuazione del Next Generation UE: un’occasione per recuperare la fiducia dei cittadini nel processo di integrazione europea

(Andrea Filippetti, Antonino Iacoviello)

Il Next Generation EU è stato spesso confrontato con il Piano Marshall, con il quale gli Stati Uniti finanziarono la ricostruzione in Europa all’indomani del secondo conflitto mondiale, nella consapevolezza che l’Europa rappresentava al contempo un partner economico centrale per gli Stati Uniti e un baluardo contro l’espansione dell’Unione Sovietica.

Il confronto tra i due piani offre un’occasione per apprezzare i passi in avanti fatti dall’Unione Europea, svincolandoci dalla visione a corto raggio delle vicende politiche, e per riflettere sulla percezione dell’Europea da parte dei cittadini beneficiari degli interventi.

Prima della guerra, la cooperazione tra gli stati era stata sostituita dall’autarchia e dall’unilateralismo. Come ben noto, il Piano Marshall aveva tra i suoi intenti quello di stimolare, di fatto quasi imponendolo, un coordinamento tra gli stati, che rappresentava un principio di multilateralismo tracciato dagli accordi di Bretton Woods del 1944.

La cooperazione e il coordinamento delle politiche per la ricostruzione erano ritenute necessarie per impedire che le ceneri della guerra riprendessero vita, alimentate da nuovi nazionalismi, come già avvenuto con la nascita dei fascismi.

Gli anni della ricostruzione e dello sviluppo socio-economico del dopoguerra sono stati fondati sulla costruzione di un modello di welfare universale in tutti i paesi, con il supporto di un basso livello di indebitamento e una grande fiducia nello Stato.

Se guardiamo la genesi del Next Generation EU, possiamo apprezzare i passi da giganti fatti dal vecchio continente. Il numero di paesi membri è salito a ventisette, e include stabilmente i paesi dell’Est Europa che erano rimasti esclusi dal Piano Marshall; le diatribe politiche con i governi di Polonia e Ungheria – che peraltro non riflettono necessariamente il comune sentire nei rispettivi paesi – si sono notevolmente ridimensionate. Per la prima volta, l’azione straordinaria dell’Europa per progettare il futuro sarà finanziata attraverso l’emissione di debito pubblico che costituisce un primo passo per una solidarietà concreta tra Stati e cittadini europei, secondo una logica cooperativa che inizia a smussare gli egoismi nazionali.

L’Europa, in totale autonomia, si è dotata di tutti gli strumenti necessari (massicci programmi di acquisto dei titoli di Stato e sostegno agli Stati membri) per uscire da una delle più gravi crisi dal dopoguerra, seguendo una logica cooperativa.

Si tratta di strumenti straordinari, adeguati per fare fronte alle circostanze di questo tempo storico, la cui efficacia è però condizionata dall’attuazione del Piano europeo.

Ciascuno Stato è chiamato a concorrere alla realizzazione degli obiettivi fissati a livello europeo; almeno in parte (con riferimento al Recovery Fund), l’erogazione delle risorse sarà condizionata al raggiungimento degli obiettivi nei tempi stabiliti.

La sfida che l’Europa ha dinanzi a sé impegna tutti i livelli di governo, europeo, nazionale e territoriale: i livelli di governo statali avranno la responsabilità della programmazione e del coordinamento delle politiche pubbliche; le autonomie territoriali dovranno concorrere alla ricerca delle priorità di intervento nella fase di programmazione, in una prospettiva di lungo periodo, e assicurare nella fase esecutiva che le risorse disponibili siano concretamente utilizzate per lo sviluppo dei rispettivi territori.

Ritorna dunque centrale il tema della capacità di spesa delle risorse europee, che impegna gli Stati membri a un rinnovato impegno in termini di governance.

Negli Stati europei regionalizzati, gran parte degli obiettivi fissati a livello europeo richiede il concorso delle autonomie territoriali con le amministrazioni statali.

Nel caso italiano, il processo di genesi del PNRR è stato fortemente centralizzato dal precedente governo, con un ruolo marginale delle regioni.

Il nuovo governo dovrà decidere quale ruolo affidare al sistema regionale, non solo nella fase di programmazione degli interventi nazionali, ma anche in quella dell’implementazione delle politiche pubbliche; molte delle materie in cui si dovrà intervenire sono infatti affidate alla competenza di tale livello di governo.

Il contributo regionale sarà certamente rilevante per assicurare il rispetto dei tempi fissati a livello europeo; ma sarà dirimente a livello strategico, sia per favorire l’effetto utile degli investimenti mediante la sinergia tra territori limitrofi, sia per favorire la percezione da parte dei cittadini dei benefici dell’integrazione europea.

Ritrovare la fiducia nelle istituzioni che i cittadini sembrano avere perso è una sfida che si affianca a quella legata alla reazione alla crisi.

La prospettiva della ricostruzione apre una nuova stagione del processo di integrazione europea che induce minore pessimismo e incoraggia rinnovata volontà.